Com’è andata Artrooms Roma 2018
Ho visitato Artrooms, fiera dell’arte indipendente, edizione romana, ero curiosa e anche un po’ interessata a capire se, dal mio punto di vista di artista (fotografa e designer) può valere la pena di partecipare a questa iniziativa così speciale.
Quest’anno anche a Roma si è tenuta la fiera dell’arte indipendente Artrooms, presso il Church Palace Hotel di Roma, dopo alcune edizioni che ormai sono un appuntamento ricorrente a Londra e in altre città. Il format consiste nel dare ad artisti non sponsorizzati un camera d’albergo per tre giorni perché ne facciano liberamente il proprio atelier in cui esporre le loro opere e ricevere visitatori.
Mi sono intrufolata in tutte le camere, e ho sperimentato sensazioni contrastanti. In effetti sul principio ho provato un certo imbarazzo nell’infilarmi in questi ambienti in cui l’artista è lì che mi aspetta, ansioso di percepire un mio giudizio sulle sue opere. Alcuni artisti si mettono perfettamente a loro agio, riproducendo nella stanza lo stesso pittoreco disordine che forse hanno nel loro studio. Confesso che in qualche momento sono stata tentata di chiedere all’occupante della camera di mettere tutto in ordine e di urlare: “Questa casa non è un albergo!” E invece no. Questa casa, casa di artisti, è proprio un albergo. Alcuni invece sembrano più imbarazzati dei visitatori, e alla fine sono quelli a cui ti viene più voglia di chiedere qualcosa, così, per rompere il ghiaccio.
Per lo più le camere sono poco illuminate. Abbondanza di paralumi, in alcuni casi anche di tessuti di colore scuro (sic!), imporrebbero di integrare l’illuminazione con qualche apparecchio aggiuntivo, cosa che solo alcuni artisti hanno fatto.
Dopo un po’ che giri, infilando la testa nelle stanze, cominci a scegliere. Ti fermi là dove vedi qualcosa che ti colpisce. Alcuni trasmettono video che illustrano il loro lavoro o il processo creativo e questo si fa apprezzare molto nel caso di quegli artisti-artigiani che hanno molto di più da dire sulle tecniche di realizzazione che sul significato delle loro opere.
Diversi artisti producono più arte applicata che arte concettuale. Alcuni sono dediti ad una sperimentazione sulla tecnica che forse li limita un po’. Sembra quasi che perdano la visione d’insieme, intrappolati nel dettaglio del procedimento realizzativo. Comunque i prodotti sono generalmente di qualità e sono disponibili a prezzi interessanti per molti collezionisti privati.
Altri autori invece sono delle personalità più singolari e definite, e la loro arte va oltre la tecnica usata. Una che ho ammirato è stata Barbara Salvucci, romana, la cui ricerca è rigorosa: un segno, una spirale che si avvolge nelle tre dimensioni e si concreta come opera scultorea, è la matrice di una serie di rappresentazioni mediate da tecniche differenti: dal disegno a penna, alla fotografia, alla stampa su tessuto, su plexiglas, su metallo, fino alla stampa a rilievo su carta bianca.
I dipinti di Kieran Ingram, olio su tela, tecnica impeccabile da maestro d’accademia, ispirano un grande rigore unito ad una grande libertà. Un vaso smaltato, lucido, rotondo, è in caduta libera. Il pittore lo rappresenta dapprima intero, poi spaccato in pezzi, in quattro vedute. Te lo guardi e riguardi e percepisci la velocità bloccata del precipitare, l’aria e lo spazio intorno all’oggetto.
Poi c’è il lavoro paziente di Merna Liddawi, artista giordano-britannica, che produce piccoli oggetti gesso trattati con strati di pigmenti naturali, da lei stessa preparati con materiali naturali, con tecniche antiche. Poi su tutto adagia un foglio d’oro zecchino, che racconta il momento culminante di quella che per lei è una meditazione, un incontro con Dio.
Non riuscirò a rendere giustizia con le mie foto, fatte senza luce, ai disegni a carboncino di Jemma Appleby, che rappresenta con una precisione fotografica, scenari architettonici immaginari.
La tedesca Tanja Bürgelin Arslan, artista profondamente religiosa usa mezzi diversi: la fotografia, la pittura, la scultura. La sua rappresentazione della Gloria di Dio è un oggetto composto di chiodi e filamenti di ottone dorato. Nella la hall dell’albergo invece c’è una sua istallazione suggestiva: frasi di preghiere in tutte le lingue del mondo sono sospese tra due specchi che si riflettono all’infinito. Un’idea di comunicazione continua tra la terra e il cielo resa in modo plastico non figurativo.
Mi piacerebbe avere il parere di altri visitatori di Artrooms 2018, sia di Roma che di Londra e soprattutto di qualche artista o collezionista. A me sembra un’esperienza utile per entrare in contatto con nuovi estimatori. Voi che ne dite?
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