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Il blog

Visual design per camere d’albergo

Un soggiorno in un albergo europeo di una grande catena internazionale mi ha portato ad osservare dei dettagli dell’arredo non secondari, e cioè le decorazioni alle pareti, in questo caso dipinti su tela. Oggetti che contribuiscono a definire il livello e il tono che l’albergo si vuole dare attraverso una strategia che è sia di interior che di visual design.

So che mi sto avventurando su un terreno scivoloso. Mi piacerebbe che chi arreda alberghi trovasse interessante la mia produzione. Per questo citare prodotti con i quali le mie stampe fotografiche per l’arredo non possono competere per prezzo è come rischiare un autogol. Tuttavia mi piace riflettere sulla funzione che la decorazione bidimensionale svolge nell’arredamento e più ancora nel visual design di spazi ricettivi di qualunque tipo. In altre parole: studio con interesse il messaggio e le sensazioni che l’utente di uno spazio ricava anche grazie ai quadri che trova appesi, non solo negli alberghi ma anche negli ospedali (vedi le mie opere negli ambienti del Campus Bio-medico) o in qualunque luogo pubblico.

Non sforzarti di indovinare l’autore.

Con un certo spirito critico mi riferisco a quei quadri “astratti”, prodotti sì manualmente, ma in serie, in qualche paese asiatico a costo molto basso che arredano certi alberghi. Nuvole di colori composti in modo decisamente casuale, ma hanno il potere di ricordare qualcosa. Un’idea di astratto, di informale, qualcosa che hai visto e non sai dove. Vai lì e lo tocchi, è una tela, vera, con colore vero sopra. Siamo di fronte ad un oggetto “materico”, non un falso materiale, una riproduzione o una foto. Insomma un quadro. Ma non sforzarti di indovinare l’autore. E come si intonano bene i colori del quadro con le finiture della camera. Proprio lo stesso tono di bordeaux, e poi qualche sbaffo dorato, proprio come le maniglie e le targhe metalliche con i numeri delle stanze. Già perché l’oggetto si ripete, mai identico ma sempre simile, nei corridoi, oltre che nelle camere da letto dell’hotel, dove la moquette azzera il rumore dei passi.

Hanno un pregio, queste composizioni cromatiche astratte, che non impegnano e non mettono soggezione, pur conferendo all’ambiente un che di nobile. Non irritano nemmeno il cultore dell’arte vera, perché non vogliono imitare nessuno e allo stesso tempo lusingano l’incompetente perché ne presuppongono la familiarità con un patrimonio visivo non figurativo, quindi “colto”, decisamente “upper class”. Non riproducono nulla di già visto, ma attingono ad un generico repertorio astratto per simulare la presenza di un quadro laddove l’occhio dell’ospite si aspetta di trovarlo: accanto al letto, tra due porte, in fondo alla prospettiva di un lunghissimo corridoio. Non sforzarti di indovinare l’autore, perché l’autore non esiste, anche se il lavoro è eseguito a mano. Che male c’è? Niente. È brutto? Neanche tanto. Sta male nell’arredo? No, affatto. Costa troppo? Macché, troppo poco, semmai.





Anni fa proponevo al manager di un albergo che stava arredando il suo hotel secondo gli standard di una catena internazionale, una serie di mie foto che potevano fare al caso loro.

Piacevano, sì i miei pannelli fotografici, ma il mio miglior prezzo era almeno il doppio del budget stanziato per la dotazione tipo della stanza. L’articolo che fu scelto in quell’occasione aveva caratteristiche specifiche che io non potevo soddisfare. • ripetibile quasi all’infinito in esemplari simili e coordinati ma non identici; • “materico”, cioè fatto a mano, con colori veri su tela vera; • economico (il prezzo finale al cliente era inferiore a quello della tela da pittore grezza acquistata qui in Italia). Insomma, su tutto puoi tagliare i costi, ma non sull’autore. L’autore lo devi proprio cancellare.

“Molte cose sembrano innocenti e sono, invece, visual design.” Riccardo Falcinelli, da “Critica portatile al visual design”

Siamo in un mondo in cui le immagini abbondano oltremisura e si possono riprodurre gratis, a caso, in serie, a metraggio. Macchie di colore stese a caso su una superficie, non chiedono nemmeno di essere spacciate per arte tanto più se servono solo a riempire pareti vuote di camere occupate per due notti al massimo da gente sempre diversa. Non importa se quelle immagini non dicono niente. Anzi, meglio. Questo probabilmente è l’obiettivo del visual/interior design dei grandi alberghi, che hanno più a cuore di fidelizzare dei clienti “business” alla propria catena rendendola riconoscibile a qualsiasi latitudine che a rendere riconoscibile la località in cui l’albergo si trova. Anche il progetto degli interni di un albergo di lusso è un progetto di Visual Design oltre che di Interior design. Infatti nell’atmosfera ovattata del grande albergo che ti avvolge con molti strati di tendaggi e di moquette è quasi impossibile capire in quale nazione ti trovi perché non c’è nulla che te lo ricordi, però quando ti sposti in un’altra città con la stessa catena di hotel puoi stare tranquillo sugli standard del servizio alberghiero. Sono incuriosita da questo mercato che offre esattamente l’opposto di ciò che io aspiro a produrre. E cioè viste, visuali, visioni, non viste, non invisibili e in definitiva guardabili. E riguardabili. In cui l’occhio non fugga via. Che non mortifichino lo spazio in cui si trovano e il tempo di chi passa e di chi sosta magari offrendogli qualche piccola gioia. Le considerazioni qui sopra, oltre che dalla mia esperienza, nascono dalla recente lettura di questo libro qui: “Critica portatile al Visual Design “ di Riccardo Falcinelli.

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